Un euro destinato alla ricerca ne fa risparmiare 2.35

Investire un euro nella ricerca fa risparmiare almeno il doppio, non solo la struttura sanitaria che la pratica ma anche il Servizio sanitario nazionale. Lo prova un «modello di calcolo» - il primo in Italia - che permette di stimare i costi evitati alle strutture sanitarie e al SSN grazie al finanziamento delle aziende farmaceutiche e quindi di misurare il valore delle attività di sperimentazione correlato a un risparmio effettivo. L’applicazione di questo modello, riassunto nell’Instant Book “Valorizzazione delle sperimentazioni cliniche nella prospettiva del SSN”, e presentato in Senato, definisce un vero e proprio effetto “moltiplicatore”, generato dall’investimento da parte dall’azienda, attraverso il finanziamento riconosciuto per la sperimentazione, insieme al costo evitato totale.

Il volume, pubblicato da Edra con il supporto di Roche, raccoglie i risultati di uno studio realizzato da un gruppo di lavoro coordinato da Americo Cicchetti, professore ordinario di Organizzazione Aziendale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del S. Cuore e Direttore di ALTEMS, con la collaborazione di Roche, e con la partecipazione di esperti provenienti dalla Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma e l’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, sedi di sperimentazioni cliniche, e la Fondazione FROM (tra gli autori della pubblicazione ci sono Eleonora Sfreddo, Mariangela Fumarola e Roberta Porcino).
Il gruppo di lavoro ha validato il modello ValoR, già sviluppato da Roche, per la misurazione dell’impatto economico delle sperimentazioni cliniche, adattandolo alla prospettiva dell’azienda sanitaria. ValOR consiste nel valore prodotto dalle attività di sperimentazione per le strutture ospedaliere come somma del finanziamento allo studio e dei costi evitati. Nel caso in cui l’indicatore assuma valore pari a 2, vuol dire che a fronte di 1.000 euro investiti dal promotore commerciale dello studio, l’azienda ne risparmia 2.000 per costi non sostenuti (costi evitati) per l’acquisto di tecnologie sanitarie o farmaci che invece avrebbe dovuto acquistare per trattare i pazienti inseriti nello studio.
 
Il modello è stato sperimentato nelle due aziende sanitarie con significativi risultati: monitorando l’attività di ricerca condotta dal 2011 al 2016 in due aree terapeutiche, sono stati infatti stimati risparmi dai 2 ai 4 milioni di euro per le due strutture oggetto di studio.
 
A conferma dei risultati ottenuti e in prospettiva di quelli che si potrebbero ottenere sulla base del modello di Roche, il prof. Cicchetti precisa inoltre che “applicando il modello a tutti gli studi condotti da Roche in Italia in ambito onco-ematologico nel periodo 2011-2016, si osserva che a fronte di un totale finanziamenti erogati agli ospedali di 66,6 milioni di euro, il totale del risparmio per farmaco è stato di 84,6 milioni, con un impatto totale sul sistema sanitario pari a 151,3 milioni. Su tale insieme di studi, dai nostri calcoli, l’effetto moltiplicatore è pari a 2,2. Se tale dato venisse confermato a livello nazionale, riproporzionando per il numero di sperimentazioni cliniche registrate grazie al Rapporto Osmed 2015 per le 86 Aziende Ospedaliere e Aziende Ospedaliere Universitarie e i 48 IRCCS tra pubblici e privati, il risparmio totale a livello nazionale potrebbe aggirarsi tra i 320 e i 360 milioni di euro in un solo anno”.
 
“Grazie alla sponsorizzazione esterna da parte delle aziende – aggiunge Carlo Nicora, Direttore Generale ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo e coautore del volume – il costo della gestione a carico del SSN per il trattamento di pazienti arruolati nella sperimentazione clinica tende a ridursi per effetto della spesa non sostenuta dall’azienda sanitaria. In particolare, non vengono sostenuti i costi per procedure diagnostiche, dispositivi medici, altri materiali di consumo utilizzati per la cura dei pazienti arruolati e anche i costi dei farmaci somministrati. I vantaggi si rilevano sia nella componente scientifica, si ha infatti una maggiore possibilità di coinvolgere i medici nei progetti e di investire di più nella formazione di giovani medici; sia in quella economica, poiché il risparmio ottenuto si traduce in un minor aggravio sulle Regioni e nella possibilità di reperire fondi per la ricerca indipendente; sia in quella manageriale, dal momento che una buona ricerca significa anche organizzazione di processi efficaci e rigorosi all’interno delle aziende sanitarie”.
 
I dati del 17° Rapporto Nazionale sulla Sperimentazione Clinica in Italia, pubblicato dall’AIFA, non sono incoraggianti. Il numero delle sperimentazioni cliniche autorizzate nel nostro Paese è complessivamente diminuito di quasi 100 unità (da 660 nel 2016 a 564 nel 2017). Risulta inoltre diminuita la percentuale degli studi autorizzati in Italia rispetto all’EU dal 20,3 del 2016 al 18,0% del 2017.
 
“La sfida per l’Italia nell’ambito della ricerca clinica è aumentare l’attrattività rispetto agli altri Paesi europei, alcuni dei quali si sono già allineati totalmente a quanto richiesto dal nuovo regolamento comunitario – commenta la Senatrice Maria Rizzotti, membro della XII commissione Igiene e Sanità del Senato -; modelli come questo sono l’esempio di un sistema di ricerca ad alto livello competitivo e devono essere di stimolo per continuare su questa strada di collaborazione con le aziende italiane e nell’ottica di  un risparmio per il nostro Sistema Sanitario”.

 



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